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La leadership degli algoritmi

13 Gennaio 2020
  Una riflessione di Mirko Menecali - Partner and Alliance Manger, Sinfo One  

Traggo spunto da un bell'approfondimento de “Il Foglio” di domenica 8 dicembre che, parlando dell’organizzazione di Deliveroo, spiegava come di fatto il direttore operativo dell’azienda è un algoritmo che si chiama Franck.

E’ infatti Franck che raggruppa le consegne per zona in base alla presenza dei rider e raggruppa le consegne in base al percorso che essi devono compiere.

E’ sempre Franck che assegna i viaggi ai vari rider e che soprattutto decide di non penalizzare quelli che rifiutano le corse a vantaggio di quelli che le accettano.

Il tutto in tempo reale, considerando tutte le informazioni presenti in rete (anche la pendenza delle strade) 24 ore su 24 e senza chiedere ferie.

Il principale rapporto di lavoro i rider ce lo hanno proprio con Frank l’algoritmo, che è equo e imparziale e soprattutto, a detta di Deliveroo, mai discriminatorio. Il top management assicura che Frank non fa alcuna discriminazione dei rider in base alle performance e allo status.

La prima sconcertante riflessione che mi viene in mente è che le macchine stanno sostituendo coloro che prendono decisioni. La 4a rivoluzione industriale ha reso economico fare previsioni e quindi prendere decisioni, questo grazie alla disponibilità di dati, risorse elaborative e programmi concessa dalla diffusione del cloud ed edge computing.

 Le macchine non stanno sostituendo il lavoro manuale come ipotizzavano i primi film degli anni ‘90, che presentavano un mondo dove i robot eseguivano gli ordini degli umani ed erano relegati ai compiti più ingrati e umili. Forse soltanto Isaac Asimov, in alcune sue novelle, aveva immaginato un ruolo per le macchine che fosse di supervisione e di comando del genere umano.

Insomma, per me che mi occupo di organizzazione aziendale da una vita, tutto questo sembra il paradiso: la disponibilità di manager instancabili e onnipresenti in grado di essere perfettamente equi ed etici all’interno dei vincoli dati dalla programmazione, cosa chiedere di più?

Per rispondere a questa domanda nel modo più neutrale possibile provo ad analizzare il processo elaborato da Frank. L’algoritmo risolve in un unico colpo tanti momenti di pianificazione che in uno scenario più tradizionale, cioè dove è l’uomo che decide, verrebbero risolti in un tipico processo “top-down bottom-up”: pianificazione della domanda, pianificazione delle risorse, schedulazione operativa, execution, controllo. Quindi di fatto è più veloce, può reiterare il processo infinite volte quando cambia il contesto, consuma meno risorse, più economico, in due parole è più efficace e più efficiente.

Allora dove sta il punto debole? Sarà realistico che tra qualche tempo i manager, i commercialisti, gli avvocati, i giudici, i funzionari dello stato, saranno composti essenzialmente da algoritmi?

Forse il punto debole è solo nella frase “all'interno dei vincoli dati dalla sua programmazione”; infatti è chi ha progettato il programma che ha imposto questi vincoli e all'interno il programma dovrà sempre rimanere. In sostanza un programma può si imparare ma non può pensare come il cervello umano.

Uno dei padri dell’informatica Edsger Wybe Dijkstra ha scritto: “Chiedersi se un computer possa pensare non è più interessante del chiedersi se un sottomarino possa nuotare” ed è forse proprio su questo che cade il processo di pianificazione del nostro Franck.

Il processo umano che coinvolge probabilmente 2 o 3 persone fisiche e diversi algoritmi meno intelligenti di Franck nella tipica interazione “top-down bottom-up” è sì meno efficiente ed efficace, ma è completamente libero da vincoli; è sì lento, ma proprio in questa sua imperfezione di fondo risiede il suo potenziale.

Potenziale per esempio, di usare la discrezionalità di chiudere un occhio verso un collaboratore che sta vivendo un momento di difficoltà, ma questo è giusto o sbagliato? Non so non voglio entrare in argomenti di etica.

Rimanendo in termini di efficacia, il potenziale di andare oltre i dati e oltre i vincoli della programmazione iniziale, facendo ipotesi olistiche sul contesto in grado di mettere in dubbio i vincoli iniziali.

Un esempio classico di questa situazione è il caso Nokia: quindici anni fa il brand aveva il potenziale di Apple e Samsung messe insieme. Chi desiderava un cellulare, voleva un Nokia. Gli svedesi avevano la scelta più ampia, il miglior design e uno dei marchi più famosi al mondo. L’errore della società svedese è stato quello di non sviluppare un sistema operativo all'altezza, il sistema symbian, è stato pensato in maniera conservativa, si è pensato che gli utenti fossero spaventati dal cambiamento.

Il principale competitor sul mercato ha adottato una soluzione coraggiosa spinto dall'intuizione del suo fondatore Steve Jobs: gli utenti volevano usare il telefono con le dita.

Se 15 anni fa ci fossero stati gli algoritmi che ci sono ora e la capacità di calcolo che oggi abbiamo a disposizione, tutto questo potenziale avrebbero sempre lavorato all’interno dei vincoli imposti dalla programmazione, cioè che gli utenti non volevano cambiare.

Per concludere non è facile dosare la libertà di pensiero dell’essere umano, ma sicuramente quando questa viene usata sapientemente può ottenere dei risultati che nessun algoritmo può eguagliare.

Alla fine tutto questo discorso sull'ascesa degli algoritmi e i loro limiti, posso condividere una riflessione: quando mia figlia di 5 anni mi dice che vuole fare la velina, visione questa un po’ vintage rispetto ai più moderni blogger e influencer, forse tutto sommato non sta sbagliando affatto.

  Foto di Miko Menecali